Apro da un testo che non ho ancora trovato citato nella masnada di coccodrilli piagnoni di queste prime ore. È La nostalgia dell’assoluto , pubblicato originariamente nel 1974 e tradotto in Italia prima da Anabasi nel 1995, poi da Bruno Mondadori nel 2000, edizione da cui attingo. Il volume raccoglie le cinque conferenze che furono trasmesse per radio nell’autunno del 1974 e rappresentano la 14ª serie delle Massey Lectures. Tema di fondo quella nostalgia dell’assoluto che è dilagata nella cultura europea tra Otto e Novecento, fino alla deflagrazione finale della seconda guerra mondiale. Successivamente, e progressivamente, è subentrato un fortissimo senso di colpa e una fortissima nostalgia dell’innocenza. Ma ascoltiamo la voce del maestro, perché anch’egli appartiene alla schiera di coloro la cui lezione va appresa e tramandata. In queste ore, in questi giorni, leggerete molti articoli sulla sua vita avventurosa all’esordio, poi quasi placida nel prosieguo dell’età matura, ma non per questo meno vitale e feconda.

È proprio il pubblico alla base della creazione del mito, amplificato da un fervente fenomeno mai visto di registrazioni pirata (tanto da valere a Gencer anche l’appellativo di “Diva Pirata”), vista l’inspiegabile disattenzione da parte dell’industria discografica ufficiale. Fatta eccezione per due registrazioni Cetra infatti, e alcuni film operistici concepiti per la televisione , il ricordo di una delle più grandi cantanti del Novecento è affidato a decine e decine di registrazioni live che rappresentano un documento eccezionale per carpirne il modo unico di usare la parola e la voce come strumenti per calarsi nel personaggio. Ti piace l’informazione di qualità, gratuita ed indipendente? Diritto di critica è un progetto indipendente e che si sostiene solo attraverso il supporto dei suoi lettori e della pubblicità. Aiutaci a migliorare il nostro lavoro con una piccola donazione.

«Fare l’insegnante è l’incarico supremo». La lezione del maestro George Steiner. Un ricordo di Danilo Breschi

Ringrazio e onoro chi mi ha fatto nascere in un’Italia unita e mi auguro che possa esserlo per sempre. Mi mortifica vedere come Garibaldi che qui è nato ed è idolatrato dai francesi come un grande eroe idealista italiano e generale italiano venga mortificato dall’ignoranza e dal campanilismo. Lo uso nonostante il rischio dell’enfasi retorica, che certo non piaceva a lui, George Steiner. Nato in Francia a Neuilly-sur-Seine il 23 aprile di 91 anni fa, è un altro esponente di quella meravigliosa classe 1929 che ci lascia.

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Nato in una famiglia di ebrei viennesi che qualche anno prima avevano lasciato l’Austria per timore dell’antisemitismo, poco dopo avrebbe dovuto abbandonare anche la Francia e l’Europa tutta per sfuggire al nazismo, stabilendosi nel 1940 negli Stati Uniti, dove sarebbe in seguito divenuto cittadino americano. Leggerete anche molti articoli con l’elenco delle sue opere più note, da cui saranno estrapolate frasi e pensieri più consoni al coro ufficiale dei grandi quotidiani nazionali, e parrebbe perciò inutile aggiungere altro. Ma credo che meriti fare una cosa meno diffusa in questo profluvio di coccodrilli, ovvero dare il giusto rilievo all’opera di uno dei critici più acuti e originali, perché devoti non ad altro che alla passione per il vero, il bello e il buono nella letteratura (“anarchico platonico” amava definirsi), dunque un pensatore assolutamente indipendente, libero.

Perché festeggiare l’unità d’Italia? Le vostre lettere – Diritto di critica

E immenso, appunto, proprio come gli orizzonti di conoscenza che ti dischiudeva, come quella curiosità, onnivora, che lo animava. Non erudizione sterile, beninteso, ma costante interconnessione creativa tra le grandi opere della letteratura, della filosofia dell’arte tutta, comparate con l’estro e il sentimento sempre avvertito dell’impasto umano tra relativo e assoluto. Sapeva perciò cos’è classico, cosa ne fosse alfiere e cosa scudiero, fiero signore o umile servitore. La lezione dei maestri è il titolo di un altro suo aureo libretto (trad. it. Garzanti, 2013), proprio come il testo destinato ad accompagnare uno spartito, composizione di parole e idee musicate affinché siano cantate.

  • Fare il rabbonim» (La passione per l’assoluto. Conversazioni con Laure Adler, Garzanti, Milano, 2015, p. 141).
  • Il volume raccoglie le cinque conferenze che furono trasmesse per radio nell’autunno del 1974 e rappresentano la 14ª serie delle Massey Lectures.
  • Questa frase riassume tutto l’amore cho ho per la mia patria.
  • Ma la cantante è anche un caso singolare di soprano fondamentalmente lirico-leggero per natura e formazione, cimentatosi via via con ruoli da lirico-spinto, lirico d’agilità ma anche drammatico di agilità.
  • In “Al pianto vostro” il soprano si stringe al coro fino ad averlo partecipe tra strazio e “estremo, estremo pianto”.

«Mi pare che la teoria sia da porre in relazione con il fatto che finora abbiamo usato per lo più la metà sinistra del nostro cervello, quella verbale, la metà greca, quella ambiziosa, dominante. Nella metà destra che abbiamo trascurato stanno l’amore, l’intuizione, la compassione, i modi più antichi, organici di fare esperienza del mondo senza prenderlo per il collo. Ci sentiamo invitare a rinunciare all’immagine orgogliosa dell’homo sapiens – l’uomo che conosce, l’uomo che va alla ricerca della verità – per appropriarci della visione affascinante dell’homo ludens, che significa molto semplicemente l’uomo che gioca, l’uomo rilassato, l’essere intuitivo, bucolico. […] Se può esistere una tecnologia alternativa, perché non allora una logica alternativa, un modo alternativo di pensare e di sentire? Prima di essere un cacciatore e un assassino, l’uomo era uno che andava in cerca di bacche proprio ai confini del giardino dell’Eden».

Io festeggio i 150 perchè SONO ITALIANA e non dico che sono Toscana. Questa frase riassume tutto l’amore cho ho per la mia patria. Festeggio questi 150 con il cuore tricolore e mi emoziono a sentire l’Inno d’Italia.

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E siamo un po’ più poveri, o forse no, perché chi pensa e scrive con quella potenza e quella sincerità di passione e d’intelletto lascia patrimoni immensi.

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Un dovere per tutti color che sanno che «fare l’insegnante è l’incarico supremo. D’altronde la parola stessa rabbonim significa maestro. Fare il rabbonim» (La passione per l’assoluto. Conversazioni con Laure Adler, Garzanti, Milano, 2015, p. 141). Se la valenza storica del suo contributo appare oggettiva a un osservatore odierno, il processo di formazione del fenomeno Gencer è dovuto principalmente a un rapporto privilegiato instauratosi fin da subito con il pubblico, partecipe di esperienze indimenticabili a teatro.

Classicismo e contemporaneità sono altri tasselli del vasto repertorio della Gencer e qui uno dei ruoli di riferimento è sicuramente Alceste del Maggio Musicale del ’66 (poi ripreso alla Scala nel ’72), un successo di critica e pubblico. In “Al pianto vostro” il soprano si stringe al coro fino ad averlo partecipe tra strazio e “estremo, estremo pianto”. Ma è soprattutto Verdi a essere il compositore più frequentato dalla Gencer durante la sua carriera e fin dagli studi con Giannina Arangi Lombardi. Gencer non aveva una voce verdiana in senso stretto. È stata tuttavia una raffinata interprete del ruolo Leonora nel Trovatore per la RAI del 1957.

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Ricordiamo poi il Simon Boccanegra portato al Festival di Salisburgo e soprattutto la sua Aida, dove con un’esemplare interpretazione di “O cieli azzurri” applica tutti gli insegnamenti della sua celebre maestra, attenendosi allo spartito con fedeltà senza storpiature veriste, ed esibendo il famoso do pianissimo in filatura . Ma la cantante è anche un caso singolare di soprano fondamentalmente lirico-leggero per natura e formazione, cimentatosi via via con ruoli da lirico-spinto, lirico d’agilità ma anche drammatico di agilità. Tutto questo spaziare tra registri vocali, quasi ad ambire a essere soprano assoluto, suscitò non poche perplessità in una parte della critica anche a causa di alcune discontinuità vocali e una tendenza soprattutto a carriera in corso a sacrificare la bellezza del suono a favore dell’accento e del fraseggio. Dietro a questa Donizetti-Renaissance, il consiglio e la guida di un maestro donizettiano per eccellenza, Gianandrea Gavazzeni, ma anche la curiosità intellettuale del soprano e la voglia di ritagliarsi un repertorio senza rivali. Gencer coglie il linguaggio donizettiano al meglio giocando su accenti, messe di voce, roulades e legato. Allo stesso tempo se ne appropria e non si esime, specialmente a carriera avanzata, di corrodere il linguaggio musicale con la parola dalla dizione immacolata e una pregnanza drammatica molto romantica ma soprattutto molto personale.

Questo è un documento prezioso della prima Gencer, più prettamente lirica, e rimarrà nell’immaginario di molti, impressionando anche un giovane Riccardo Muti che assisteva alla trasmissione. Le interpretazioni di “D’amor sull’ali rosee” e “Tacea la notte placida” colpiscono per bellezza del suono e articolazione della parola sempre consapevole del significato, senza uso di stucchevoli portamenti all’antica. Ma Gencer fu soprattutto una Lady Macbeth di riferimento, offrendo del ruolo una lettura completa e magistrale, cogliendone le giuste sonorità cupe. Gencer si concentra sul primo Verdi, recuperando i titoli degli Anni di Galera come I due Foscari, Ernani, Attila, La battaglia di Legnano e Jerusalem, ma estende poi il repertorio alla produzione della maturità .